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Marta Innocenti Ciulli

15 Giugno 2015

Jeremy Scott for Moschino al Pitti Uomo 88 a Firenze

Intervista all'enfant terrible della moda

Cappelli rasati a metà. L’altra metà sono sparati in una cresta da duro. Volto ironico e occhi da folletto. Porta quintali di collane di metallo al collo sotto il chiodo nero, incarnazione dello spirito anticonformista, che gli sta, come si dice, a pennello.

Follia e forte spirito imprenditoriale, ironia verso un ambiente dove troppa gente tende a prendersi troppo sul serio, sicuro del suo istinto ma sul lavoro serio e metodico.

Mixa cose comuni destinate alla massa, come il sacchetto di patatine fritte o la scatola di pomodori per ispirarsi alla stampa sulla confezione per una crinolina o un tubino, e soprattutto mette in disordine le regole.

In più Scott non ha mai fatto mistero della passione proprio per lui, Franco Moschino, fondatore della maison, scomparso nel ’94. In fondo l’ironia dissacrante con cui l’indimenticabile stilista italiano aveva sempre trattato sia le proprie creazioni quanto il sistema moda, (indimenticabili gli slogan Stop al fashion system e Non c’è creatività senza caos), gli è molto molto vicina.

Nato nel 1974, cresciuto in una fattoria a Kansas City nel Missouri, la storia di questo enfant terrible della moda è materiale per una fiaba e giochi a premi televisivi, insomma pare una di quelle persone che hanno scelto già nella culla di vivere una vita rose e fiori.

Si forma divorando l’edizione italiana di Vogue, i cartoni animati, i telefilm, i serial famosi e lo zapping febbrile nella pubblicità. Giovanissimo decide di partire, destinazione Grande Mela. Si iscrive al Fashion Design del Pratt Institute di Brooklyn dove si laurea con una collezione dedicata al disastro nucleare di Chernobyl.

Ma NY non è il punto d’arrivo, forse lo è Parigi, la ville cruciale che volentieri apre le braccia a chi ha talento e volontà.

Quella d’esordio è una collezione di uniformi ospedaliere realizzate in carta: il primo prêt-à-jeter. A Parigi lavora come assistente nelle maison Jean Paul Gaultier, Christian Louboutin, Stephen Jones. Crea una sua linea e continua a farsi notare per le sue creazioni divertenti e irriverenti che ricordano un po’ i grandi stilisti come Schiaparelli, Castelbajac, appunto Moschino. Si lega ad Adidas, Longchamp, Swatch e Smart, Cybex, i passeggini dell’azienda tedesca.

E adesso vedremo il suo scintillante paese delle meraviglie qui a Firenze, e di sicuro faremo il pieno di adrenalina al neon.

Penso alla sua ironia nel mondo della moda, e a quella a suo tempo rivoluzionaria di Franco Moschino. Secondo lei è una buona strada affrontare la moda con ironia oggi?
Alla base della moda di Moschino c’è sempre stata l’ironia, io credo di averla semplicemente riportata alla ribalta con una sensibilità moderna. La cultura pop è la cultura dominante oggi ed è certamente parte del mio lavoro.

Da Parigi è tornato a vivere e lavorare a Los Angeles. Un po’ strano. Perché?
Perché amo questa città, amo il colore del cielo, Los Angeles è la terra dell’immaginazione e del selvaggio west. Amo il fatto che uno possa fabbricare il proprio destino e farne quello che vuole!

La sua moda svela un forte spirito dissacratore. La moda può inviare messaggi sociali, culturali oltre a mostrare il bel vestito?
Lo spero, altrimenti ho vissuto finora in uno stato di perenne illusione!

Il maggior successo.
Essere felice.

La prima memoria della moda.
Leggere la rivista Details da bambino.

Come inizierebbe la sua autobiografia?
C’era una volta una galassia molto lontana….

Cosa non riesce a smettere di fare?
Le interviste, a quanto pare.

Tre cose che ama, tre cose che odia.
Amo i weekend. Odio le scadenze. Amo i giorni di sole. Odio i giorni di pioggia. Amo l’amore. Odio l’odio.

Se non fosse stato un designer, cosa avrebbe voluto essere?
Una popstar.

Che cosa la ispira?
Il mondo che mi circonda.

Chi inviterebbe alla cena dei suoi sogni.
Madonna, Marilyn Monroe e Cleopatra.

Una donna nella storia che vorrebbe vestire. Come?
Marie Antoinette.

Un lusso personale.
Lo chef privato.

Una follia fatta per lavoro?
Tutto quello che faccio sono follie, fatte per lavoro.

Come definisce la sua estetica?
Divertente!

Playlist di film e musica?
Tutto Madonna. Tutto Fellini.

Quando non lavora cosa fa?
E quando è che non lavoro?!! 

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