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Pattern Firenze Architettura

text Francesco Brunacci photo Pierpaolo Pagano

18 Dicembre 2019

Pattern a Firenze

Dettagli che non immagini

É come una fascinazione circolare. Firenze rende aderenti ai corpi delle migliaia di turiste che la visitano brani di quello che loro stesse ammirano, fotografano, immortalano.

Laurentian Library,  Cupola, Elci Tribune

Laurentian Library, Cupola, Elci Tribune 

Sono quadrati, ottagoni, stelle, gigli e intrecci di linee che la moda da sempre ruba alle costruzioni fiorentine per trasferirli sui tessuti che poi diventano abiti, capispalla, foulard, accessori, dagli ombrelli ai calzettoni.

Palazzo Vecchio, Wall, Hall of Lilies

È la nostra tradizione che dialoga con il presente. È l’arte infusa nel Battistero, in San Miniato al Monte o nella Biblioteca Laurenziana, da cui si estrapolano cifre, segni architettonici utili non solo a ripercorrere le nostre bellezze, ma a suggerire ancora una volta quanto le arti si scambino ispirazioni e certezze e quanto incessantemente producano emozioni a catena.

Palazzo Davanzati 

Bisognerebbe essere un drone invisibile per ripercorrere quanto su tutte le donne che affollano Firenze - turiste e non - i pattern sappiano riconvocare e trasformare in vita pulsante quello che apparentemente è solo pietra.

Baptistery of St. Giovanni, exterior marble sheathing 

L’oro di Palazzo Vecchio, i quadrati dorati del soffitto a cassettoni della chiesa di San Lorenzo, li ritrovi ormai non solo nello scintillio dei vestiti da sera, ma nei centinaia di glitters che oggi hanno invaso non solo l’abbigliamento femminile, ma anche quello maschile.

Palazzo Vecchio, Ceiling, (ph. Giovanni Presutti) 

Il fashion world – che non ha mai fatto mistero dell’ispirazione dalle opere d’arte – vedi Yves Saint Laurent con Mondrian, Alexander McQueen con Aubrey Beardsley, Elie Saab con Georgia O’ Keeffe o Dolce e Gabbana con Julian Schnabel – si nutre così profondamente della nostra architettura che quasi non lo enuncia affatto.

Palazzo Gianfigliazzi Bonaparte, Ceiling

Non resta allora a uomini e donne che attraversano la nostra città, fare il gioco inverso: andare a ricercare i pattern presenti in quello che hanno addosso sulle facciate, i campanili, i marmi, gli affreschi e dirsi che sì, il gioco paga. Paga sempre ciò che riconduce l’arte alla vita quotidiana e a quella di dentro: perché il percorso può essere senza fine, ma non senza meta. 

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