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5 Febbraio 2018

L’odore assordante del bianco

Alessandro Preziosi, alle prese con i tormenti di Vincent Van Gogh, arriva sul palcoscenico della Pergola

È l’8 maggio 1889. Vincent Van Gogh, 36 anni, entra volontariamente nella Maison de Santé di Saint-Paul-de-Mausole, un vecchio convento adibito a ospedale psichiatrico a Saint-Rémy-de-Provence, a una ventina di chilometri da Arles. È colpito da manie acute, allucinazioni della vista e dell’udito, si reputa incapace di vivere e gestirsi in libertà.

L’odore assordante del bianco di Stefano Massini racconta il calvario interiore del grande pittore olandese, un anno prima della morte. Alessandro Preziosi è protagonista di questo atto unico. Lo incontriamo dopo i successi di Napoli e Spoleto, in attesa di vederlo a Firenze al Teatro della Pergola dal 6 al 12 febbraio.

Qual è la sua visione di questa rappresentazione?
L’Odore assordante del Bianco traccia le sensazioni di un uomo che poco conosciamo da questo punto di vista. È la metafora del bambino artista che vuole diventare uomo, senza riuscirci. La grande ispirazione nasce dal suo essere totalmente abbandonato a un approccio alla vita profondamente infantile e si denota da come l’ha condotta quando era ancora in famiglia. Penso alle alterazioni della realtà che lo ponevano sotto i timori e le attenzioni della famiglia e che unitamente alla sua natura allucinante lo fanno uscire da ciò che vediamo di lui dalle oltre 900 tele che per un secolo non sono state apprezzate.

Cosa cerca di raccontare dell’artista?
L’obiettivo è raccontare la natura del processo creativo dell’artista, che in questo percorso si concede qualsiasi tipo di alterazione, dei fatti, della memoria, di tutta la realtà delle cose. Partendo da un dato cronologico lo chiudiamo nel manicomio, immaginandolo in un mondo dove è circondato solo dal bianco. Questo è un dato non vero, perché aveva la possibilità di dipingere, un mese dopo darà vita alla Notte stellata. Ma ora è qui, in un’anonima stanza. Un rettangolo squadrato da pareti austere, una gabbia di cemento. Assoggettato e fortuitamente piegato dalla sua stessa dinamica cerebrale, si lascia vivere già presente al suo disturbo. Van Gogh ci appare nella devastante neutralità di un vuoto.
Della natura del suo disturbo non si sono mai avute certezze.
La malattia riguarda la combustione che aveva con la natura. Ciò che viveva lo crocifiggeva sul cavalletto. Viveva con il nome del fratello morto da piccolo, la mamma lo portava periodicamente a commemorare il fratellino sulla tomba. Le sue allucinazioni le vogliamo vedere romanticamente, per interpretare l’artista, ma in effetti l’uomo non accettava la realtà e la viveva alterandola, al punto da arrivare al taglio dell’orecchio e al suicidio.

Non capire o non essere capiti?
C’è più il non essere capiti dagli altri che il non capire. Vorresti essere capito e accettato ma se così fosse non avresti la stessa forza. È la prima volta che interpreto un personaggio con cui mi incontro a metà strada. Condivido diversi aspetti, su tutti il diventare adulto. Ho lavorato su questo personaggio con una grandissima emotività. È uscita tutta la mia fragilità e l’ho messa al servizio di questo artista.

Quando è diventato adulto?
Sono cresciuto presto perché ho avuto un figlio molto giovane. È come se con una fionda ti catapultassero anni avanti. Poi accade che inevitabilmente si ritorna indietro, per vivere ciò che si ritiene di aver perso.

Il suo rapporto con Firenze?
Speciale. Intimo. Firenze è una città che ho vissuto nel pieno della mia vita. Qui è nata mia figlia e tutta la famiglia di sua mamma. Tramite loro l’ho vissuta e conosciuta a fondo. Per me è come Capri senza il mare. Mi strega sia la sua magia notturna che il caos frenetico dei turisti di giorno e anche qui, come sull’isola, posso muovermi a piedi e avere contatto diretto con la gente. Recito a Firenze dal mio primo spettacolo, l’Amleto, nel ’99. Al teatro La Pergola recentemente sono stato con Romeo e Giulietta, sono contentissimo di tornarci e darò anche qui il massimo per non deludere chi ci onorerà della sua visita.

Dopo Firenze cosa l’aspetta?
Roma per 3 settimane all’Eliseo, poi Bologna, Trieste e più in là Milano. Parallelamente sto finendo di girare a Torino Nessuno come noi, film tratto dal libro di Luca Bianchini e diretto da Volfango De Biasi e ho appena finito di girare un film tv diretto da Giacomo Campiotti, La pellicola, il cui titolo definitivo dovrebbe essere Figli, è tratta dalle storie prodotte dal protocollo «Liberi di scegliere», che da anni ha cercato di ridare nuova vita e dignità a quei ragazzi che hanno deciso di allontanarsi dalle cosche mafiose e dalla ‘ndrangheta. 

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