Carlo Conti ci racconta le sue estati in Versilia, dove tutto è cominciato
Dal palco della Bussola a quello del Festival di Sanremo. Un viaggio tra i ricordi, la musica e il mare
C’è un punto preciso, tra la pineta e il mare della Versilia, dove la carriera di Carlo Conti si è consacrata: la Bussola. È lì, nel leggendario locale che ha fatto la storia della musica italiana, dove Conti è cresciuto e ha maturato l’esperienza nel mondo della televisione quando ancora era un giovane DJ con la voce calda e la battuta pronta. Ancora oggi l’estate per Conti ha il sapore salmastro della costa toscana, fatta di musica, amici, e quel legame indissolubile con la terra che lo ha visto nascere artisticamente. È uno dei volti più amati della televisione italiana. Lo abbiamo apprezzato recentemente per il suo charme e il suo stile impeccabile all’ultimo Festival di Sanremo, anche grazie alla collaborazione con il designer fiorentino Stefano Ricci. Ed è proprio nella sua sartoria-headquarter a Fiesole che ci siamo dati appuntamento per questa intervista al sapore di sale.

Parlaci dei tuoi esordi e di come sei entrato nell’universo dello spettacolo.
Tutto è cominciato ai tempi delle superiori. Portavo a scuola un transistor bianco – senza cuffiette – per ascoltare Alto gradimento. Dopo lezione, andavo a casa di Andrea, un un mio compagno di classe, dove annunciavamo le canzoni avvicinando il microfono del registratore allo stereo e il giorno dopo distribuivamo le cassette a scuola. Era un gioco, ma fatto con passione.
E poi sono arrivate le radio private, vero?
Esatto, nel ‘76 suonai il campanello di una delle prime radio private. ‘Private’ perché... erano prive di tutto: giradischi, microfono… facevi tutto da solo. Mi dissero: “Puoi venire a trasmettere la domenica pomeriggio, però non ti paghiamo.” E io: “Va bene!”. Preferivo quello a uscire con gli amici o andare allo stadio. Era una passione travolgente. E poi le prime telefonate, i primi ascoltatori… È stato l’inizio di tutto.

Dalla radio alla discoteca, e poi alla TV. Com’è avvenuto questo passaggio?
Con naturalezza. Dalla radio passai alle serate in discoteca, e da lì alle prime TV locali. Nel frattempo, però, era arrivata anche la grande opportunità di fare Discoring su Rai1, ma mi resi conto che era troppo presto: era una cosa più grande di me. Mi dissi: “Un atleta prima di andare alle Olimpiadi si allena nel campo sotto casa”. Tornai in Toscana dove c’era un gran fermento, soprattutto comico. Con Leonardo (Pieraccioni, ndr) decidemmo di fare un programma su una televisione privata: Succo d’arancia. Era il 1986.
Succo d’Arancia prima, poi Vernice Fresca e Aria Fresca: cosa ci ricordi delle prime registrazioni?
Tanta incoscienza, tanta energia. Succo d’Arancia è stato il laboratorio, Vernice Fresca il primo vero successo. Registravamo con mezzi limitati, ma con un entusiasmo contagioso. La comicità toscana trovava finalmente il suo spazio.
Una gavetta importante...
Tantissima, ma necessaria. Abbiamo fatto spettacoli con sette spettatori e la sera dopo con settemila. Ma noi davamo tutto anche per quei sette. È più difficile far ridere sette persone che settemila.
La Versilia è stata centrale nella tua carriera. Qual è il ricordo più divertente e quello più emozionante di quegli anni?
La Bussola è stata il nostro palcoscenico d’estate: un pubblico caloroso, una magia unica. Il ricordo più esilarante? Forse una serata in cui saltò la corrente e andammo avanti a improvvisare a lume di candela! Il momento più emozionante fu vedere arrivare gente da tutta Italia per Aria Fresca: capimmo che qualcosa stava succedendo, il pubblico si stava accorgendo di noi.
Giorgio Panariello e Leonardo Pieraccioni: com’è nata la vostra amicizia?
Ci siamo conosciuti nei primi anni delle serate live, tra locali e provini. Ci unisce la stessa ironia, lo stesso modo di vedere la vita. La nostra forza è l’amicizia vera, quella che resta anche senza riflettori.

In quelle trasmissioni hai mostrato un grande talento come spalla. Quali sono le doti essenziali?
Ascoltare, non sovrastare, valorizzare l’altro. È fondamentale avere ritmo, umiltà e il piacere di ‘passare la palla’ al comico. L’errore peggiore? Voler primeggiare. Se si gioca di squadra, si vince.
Ci racconti la tua Versilia, quella di ieri e quella che ami oggi?
Quella di ieri era con Baldini e le nostre fidanzate al campeggio di Torre del Lago, fatta di risate, sogni in tasca e tintarella: quando tornavamo all’alba dalla Capannina la voglia di mare era così tanta che preferivo dormire sulla spiaggia, forse è da lì che ho cominciato a esagerare un po’ con l’abbronzatura (ride). Oggi la Versilia è un rifugio, un luogo dove ricaricarmi, passeggiare sul pontile, respirare il mare. Un amore mai finito.
E poi sei arrivato a sul palco di Sanremo...
I miei primi tre Festival li ho vissuti in modo molto scaramantico. Partivo sempre 15-20 giorni prima. Facevamo tappa a pranzo in un ristorantino in Versilia e poi passavo dalla Bussola, come fosse una benedizione laica. Pensare che da lì stavo partendo per condurre il Festival… emozione pura.
Ma è vero che il primo Festival della Canzone Italiana fu inventato a Viareggio?
Certo che sì, da Aldo Valleroni!Un pioniere. Ha dato spazio ai giovani, ha creduto nella musica quando era ancora artigianato puro. Il suo Festival a Viareggio non fu capito e Sanremo prese subito la palla al balzo.
Hai portato tanti toscani a Sanremo. Hanno una marcia in più?
La Toscana ha una vena artistica e ironica fortissima. Lucio Corsi, Gabbani, Irama, Jovanotti e il super ospite Roberto Benigni: ognuno a modo suo ha portato autenticità. Forse siamo un po’ testardi, ma sinceri. E questa cosa arriva.
Qual è la tua canzone preferita di Sanremo 2025?
Sono affezionato a molte, ma se devo sceglierne una dico quella di Lucio Corsi: poetica, diversa, con un’identità forte. È un artista che osa.
La tua playlist?
I due album dei Pink Floyd, The Dark Side of the Moon e Wish You Were Here, e un buon Battisti, che non guasta mai.
Come ti senti nei panni del demiurgo nei tuoi programmi?
Mi sento a casa. Amo costruire i format, scrivere, curare ogni dettaglio. Programmi come L’Eredità e I Migliori Anni sono parte di me. Dietro c’è lavoro, passione, e una squadra straordinaria.
Carlo, qual è la tua routine prima di andare in scena?
Sono molto abitudinario. Sempre gli stessi colori: bianco, blu. Mia moglie impazzisce, ma io sto bene così. E non sopporto fare le foto con gli abiti di scena (sorride, riferendosi al nostro shooting).
Un sogno nel cassetto?
Ho tutto quello che desidero e desidero tutto quello che ho.