A dialogo con Y. Z. Kami, protagonista della mostra Light, Gaze, Presence
Conosciamo meglio l'artista iraniano in mostra a Firenze fino al 24 settembre
I ritratti di Y. Z. Kami artista iraniano che vive a New York, ricostruiscono una geografia speciale in città. Il percorso della mostra Light, Gaze, Presence (fino al prossimo 24 settembre) lega il Museo Novecento, Palazzo Vecchio, il Museo degli Innocenti e San Miniato in un itinerario intimo e rarefatto, dove lo spettatore quasi ricerca un contatto con la propria anima. La stessa rarefatta intimità che ci ha trasmesso l’artista in questa intervista.
Lei coglie nei suoi ritratti la spiritualità che appartiene a tutti noi. Si tratta di proiezione della sua anima, del suo sentire o entra in sintonia profonda con il soggetto?
Dipingo ritratti fin da quando ero un bambino in Iran dove sono cresciuto. Mia madre era una pittrice che dipingeva ritratti accademici, ma anche nature morte e paesaggi. Quindi, sin dalla più tenera età, il centro del mio interesse è stato di dipingere volti, sono diventato pittore proprio per questo. Quando incominci a dipingere una faccia, ti rendi immediatamente conto che non è solo un’immagine quella che hai di fronte. È un oceano di emozioni, c’è una vita dietro. Svariati pittori e storici dell’arte hanno detto che un ritratto è sempre un autoritratto. Io dipingo per comunicare con chi ho davanti.
Nel nostro vivere contemporaneo il silenzio ci fa spesso paura. Per lei cosa rappresenta?
Prima di tutto, dipingere è un’attività molto solitaria. Per decenni ho dipinto da solo nel mio studio, quindi il silenzio è qualcosa a cui sono molto abituato. Ma allo stesso tempo, penso che il silenzio ci manchi, perché è nel silenzio che possiamo guardarci dentro. Noi siamo completamente distratti dal rumore del mondo, che sta diventando sempre più forte, attraverso i media, attraverso tutto. La mia pittura è esattamente l’opposto.
Il Museo Novecento, San Miniato, Palazzo Vecchio, gli Innocenti. Cosa ha amato di questi luoghi e perché?
Ognuno dei posti che ha menzionato ha una sua energia, una sua storia. Esporre le mie opere in questi posti aggiunge una dimensione completamente nuova. Per esempio, a Palazzo Vecchio, nel Salone del 500, ci sono tutti affreschi del Vasari: tutte scene di violenza, massacro, guerra. Qui abbiamo messo tre ritratti: una signora anziana nel mezzo e ai due lati due uomini più giovani, uno bianco e uno nero, ed hanno tutti gli occhi chiusi o lo sguardo abbassato. E il contrasto tra il Salone e i loro occhi, quello sguardo abbassato, è piuttosto sorprendente, aggiunge una dimensione nuova a tutta l’esperienza: è come se quella donna nel mezzo chiudesse gli occhi per non vedere quello che sta succedendo nella stanza.
Al Museo degli Innocenti, ho esposto la Maschera Funeraria di Brunelleschi. Gli Innocenti era originariamente un ospedale. La parte originale fu progettata da Brunelleschi, e per quanto ne so è stato uno dei primi progetti realizzati da lui a Firenze. Quindi la sua maschera funeraria in quell’edificio è molto emozionante per me. Ha un significato speciale.
A San Miniato, ho esposto delle mani in preghiera di cui ho fatto molte versioni, in varie misure, alcune molto grandi, altre più piccole, è un segno diretto di devozione per me. Le mani in questo specifico dipinto in San Miniato sono le mani di un mio amico che è un prete protestante nato da una madre ebrea e da un padre protestante, e sposato con un uomo americano. Lui ha delle mani molto interessanti, con lunghe dita, gli ho chiesto di posare per me per dipingere le sue mani. Ho trovato la cosa molto significativa, perché sono le mani in preghiera di un prete protestante, da madre ebrea e padre protestante, e dipinte da un iraniano musulmano naturalizzato americano, quindi se metti tutto insieme, il dipinto rappresenta il nostro mondo contemporaneo. Il parroco di San Miniato, Padre Bernardo, è una persona meravigliosa, molto profonda.
Quali sono gli artisti del nostro Rinascimento che ama e la ispirano di più?
Sono talmente tanti gli artisti del Rinascimento che amo che non posso nominarne uno solo. Amo Giotto, Masaccio, Piero della Francesca, Fra’ Angelico; anche i Veneziani: Tiziano, Veronese, Tintoretto. E poi Donatello... A Firenze amo andare agli Uffizi, a San Marco per vedere Fra’ Angelico, a Santa Maria Novella per vedere Masaccio.