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Arabella Natalini

27 Luglio 2015

Antony Gormley racconta la sua mostra a Firenze

Fino a fine Settembre le opere di Gormley al Forte Belvedere

Fino a fine settembre, Firenze ospita le opere di Antony Gormley, uno dei più apprezzati scultori viventi. La mostra dal titolo Human – a cura di Sergio Risaliti e Arabella Natalini - vede riunite più di cento opere di Gormley nelle sale interne della palazzina, sui bastioni, sulle scalinate e le terrazze, occupando ogni lato della fortezza cinquecentesca con le sue straordinarie viste sulla città e le colline circostanti.

Per la nostra rivista, un estratto in esclusiva dell’ intervista a Antony Gormley di Arabella Natalini contenuta nel volume Antony Gormley: Human, Forma Edizioni.

Vorrei chiederti cosa significhi fare una mostra in uno spazio così singolare come il Forte di Belvedere. (…)E come descriveresti la tua responsabilità nei confronti dei visitatori, e dei fiorentini in particolare?
Questo edificio, collegato a Boboli, a Palazzo Pitti e a Palazzo Vecchio è un simbolo esplicito di controllo e di difesa. Non è stato mai teatro di battaglia, non c’è mai stato bisogno di difenderlo, dunque, in un certo senso, la sua funzione è emblematica, è quella di rappresentare il senso di protezione ma anche il potere di sorveglianza della famiglia. Si colloca Oltrarno, al di là del fiume, e osserva la città, la controlla ma, in un certo senso, la teme. (…)

La mia responsabilità nei confronti dei fiorentini si traduce nel rendere questo edificio il più aperto possibile, coinvolgendo tutti, dal bambino all’anziano, in un’esperienza di esplorazione immaginativa(…)
A partire da questo luogo, dal suo valore simbolico e dalle proporzioni che ne caratterizzano fortemente l’architettura, hai ideato un progetto con più di cento figure a grandezza naturale. Le questioni di scala ti hanno sempre interessato: mantenendo la scala umana come punto di partenza, hai realizzato piccoli “oggetti” ma anche opere di dimensioni monumentali.

Perché il lavoro è a grandezza naturale?
Penso che la questione critica qui fosse percepire le dimensioni, la massa, il rapporto tra l’edificato del Forte e i nostri corpi. (…)
Volevo che la scultura rinforzasse la nostra dimensione umana, in particolare sulle terrazze laterali, in rapporto alle distanze interne e a quella con la città e, allo stesso tempo, accentuasse la consapevolezza delle dimensioni del Forte stesso.
Spero che un po’ della potenza di questa architettura sia passata alle mie figure umane. Ho cercato di trasferire la massa tettonica al corpo e spero che le persone potranno percepirla a un livello profondo.

Parlando della distribuzione delle tue figure, del loro posizionamento attento e giudizioso nell’estesa superficie del Belvedere, hai utilizzato il termine “agopuntura”. In che senso è agopuntura? Intercetti i centri nevralgici per curare un artefatto “morto”, svuotato dalle sue funzioni, per restituirgli una nuova energia vitale?
Uso il termine agopuntura nel senso di rivitalizzare l’energia “bloccata” di un sito. In questo caso, vi è un luogo che è divenuto artefatto, proprio come una piramide, un labirinto, una catacomba e che rappresenta l’intersezione tra la geologia e l’ingegno umano.
Ci può aiutare a sintonizzarci su quale sia la risposta del nostro corpo di fronte a uno specifico habitat edificato. Penso all’architettura come a un secondo corpo.
La decisione di non utilizzare questo posto come una piattaforma per un intervento monumentale scaturisce dall’intenzione di trattare il Forte come un luogo che vale la pena di esplorare.
Praticare l’ “agopuntura” significa attivare le zone chiuse e aperte del Forte ma anche stimolare una risposta somatica da parte del visitatore.

Nel Paragone tra le arti, la scultura ha sempre avuto un ruolo secondario rispetto alla pittura, a causa della sua matrice fortemente “materiale”(…)
E a cosa serve la scultura?

In un momento storico in cui le immagini, immediate e onnipresenti, sono certamente in grado di gratificare il proprio senso di esistenza ma divengono altrettanto immediatamente obsolete, la scultura riafferma il valore dell’esperienza concreta.
La scultura serve a ricordarci il nostro essere dipendenti, la nostra provvisorietà e il nostro essere insufficienti, oltre a essere ciò che era nel Rinascimento: espressione di bellezza, orgoglio, sessualità, status.
Tutte queste possibilità sono tuttavia meno significative rispetto alla sfida di fronte alla quale si trova la nostra specie: capire quale sia il posto della natura umana all’interno della natura in generale. 

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