Capolavori spirituali
Le più grandi opere d'arte nelle chiese di Firenze. Fatti e misfatti
Se per dire di conoscere Firenze una vita non basta, di sicuro poche ore sono sufficienti per intuire la portata del suo patrimonio artistico e culturale. Frutto anche di rivalità: perché nella città che si considerava la nuova Gerusalemme, mostrare ricchezza costruendo chiese e palazzi non era solo un vanto personale ma anche un bene comune. Così basta camminare per il centro o curiosare in qualche chiesa per trovarsi a tu per tu con la storia cittadina e dei suoi personaggi illustri.
E allora perché non partire proprio da un antipapa che anziché finire nell’oblìo è stato omaggiato di ricca ed esclusiva sepoltura in Battistero? Lui si chiamava Baldassarre Cossa e nel 1410 divenne papa Giovanni XXIII. Erano tempi un po’ turbolenti per la chiesa tanto che alla fine Baldassarre perse la poltrona. Ma non prima di aver nominato i Medici banchieri pontifici. Come non esaudirne dunque un desiderio? Ed ecco che Michelozzo e Donatello pochi anni dopo creano il prototipo di Tomba Umanistica con tanto di sarcofago, angeli reggi-cortina in stile romano, colonne, capitelli e la statua in bronzo dorato. Quel bronzo che riflette la decorazione a mosaico della cupola del Battistero. Costruito su una domus romana in forma ottagonale, che rimanda alla resurrezione, era anche la chiesa più amata da Dante che sicuramente si lasciò contagiare dal celebre satanasso.
L’imponente giudizio universale è affiancato dai racconti della Genesi, di Giuseppe l’Ebreo, di Gesù e di San Giovanni Battista patrono della città. Battistero che nella ricca Firenze era sotto il patronato dei mercanti di Calimala, mentre la dirimpettaia Santa Maria del Fiore, che cominciò a prender forma sul finire del ‘200, sotto la tutela dell’altrettanto potente, e rivale, Arte della Lana.
Il Duomo testimoniava l’orgoglio della libertà repubblicana e la sua potenza. Doveva essere quindi la chiesa più grande di tutte e doveva tributare solo chi aveva contribuito all’indipendenza cittadina. Così ecco che invece di prelati, ci vennero sepolti soldati. Come quel John Hawkwood, Giovanni Acuto per i fiorentini, mercenario inglese, prima al soldo di Pisa e poi di Firenze dove morì da baronetto nel 1394. E Paolo Uccello nel 1436 lo ritrae a cavallo col suo bastone di comando e con una visione di profilo come i grandi condottieri.
I colori rimandano al bronzo e i giochi prospettici lo rendono tridimensionale. Bizzarrie? Non proprio. Se dal Duomo si va verso piazza della Signoria impossibile non imbattersi nel tozzo e imponente Orsanmichele. Di origini longobarde, fu granaio e chiesa delle corporazioni cittadine. Strategicamente a metà strada tra il potere religioso e quello politico è un manuale di scultura. Nelle 14 nicchie esterne infatti ci sono le statue dei santi protettori di 14 delle 21 Arti realizzate tra la fine del ‘300 e inizio ‘600. Anche se la più significativa resta il San Giorgio che Donatello scolpisce nel 1416, inaugurando così la lunga stagione rinascimentale con la postura classica, lo sguardo concentrato di un giovane ritratto al naturale e la scena nella predella dove lo schiacciato, usato qui per la prima volta dai tempi di Roma, dà un effetto prospettico.
In molti sostengono che il vero padre del Rinascimento sia stato proprio Giotto, vissuto quasi un secolo prima. L’unico modo per sincerarsene è andare in Santa Croce dove due cappelle contigue, la Bardi e la Peruzzi, ci raccontano come già agli albori del ‘300 Giotto fosse capace di dipingere scorci, dare espressione ai volti, corpo alle figure usando il chiaroscuro. La chiesa, costruita da Arnolfo di Cambio per i francescani, è poi diventata il mausoleo degli italiani illustri. Le storie, dedicate ai rispettivi santi protettori delle due casate di banchieri Giovanni Battista ed Evengelista per la Peruzzi e Francesco per la Bardi, hanno ispirato i protagonisti del ‘400.
Non ultimo Masaccio che lo ritroviamo nella chiesa rivale: Santa Maria Novella dove prima di lasciare Firenze realizza la Trinità, una perfetta opera tridimensionale. Nella cittadella dei domenicani c’è anche la madre di tutti i fumetti: il Cappellone degli Spagnoli, la sala capitolare trasformata da Eleonora di Toledo per il suo seguito, dove Andrea di Bonaiuto, a metà del ‘300, affresca l’attività dei frati trasformati qui in cani dalmata e impegnati a difendere i buoni cristiani dall’attacco di orde di lupi inferociti, gli eretici. E in un altro bel fumetto, nella Cappella Brancacci in Santa Maria del Carmine, Masaccio affianca Masolino nella decorazione delle storie di San Pietro, protettore della ricca famiglia di mercanti di seta.
Lavorano in armonia, ma dove Masolino è ancora tardo gotico, Masaccio è potentemente rinascimentale: il dolore misto a vergogna di Adamo, lo sgomento di Eva, la determinazione dell’angelo nel cacciarli dall’Eden. Che inquietante realismo! E’ qui che Vasari racconta che Pietro Torrigiano colpisse Michelangelo con un pugno, schiacciandogli per sempre il naso: rivalità da studenti. E sarà nella vicina chiesa agostiniana di Santo Spirito, l’ultima di Brunelleschi, che anni dopo Michelangelo troverà accoglienza. Loro gli permettono di dissezionare i cadaveri e lui li ringrazia con un piccolo Crocifisso (l’unica sua opera in legno di cui si abbia certezza). Il corpo efebico del Cristo che ruota leggermente sul proprio asse pare fosse ripreso da un piccolo defunto. Michelangelo farà adepti, e Pontormo ne è uno dei più affascinanti. La sua Deposizione in Santa Felicita, una delle chiese più antiche è uno degli esempi più significativi del ‘500.
Pontormo, usa i colori base e sgargianti di Michelangelo, gioca con le luminosià taglienti che danno alla pittura quel tocco di scultura, mentre i corpi si muovono con naturalezza nello spazio. Non è da meno Rosso Fiorentino che in San Lorenzo, la chiesa dei Medici e un tempo prima cattedrale, che in un partecipato Matrimonio della Vergine sceglie un giovane per San Giuseppe. Troppo facile, avrebbe detto, astenersi da vecchi...