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coronavirus firenze covid19 toscana

Text Teresa Favi

8 Giugno 2020

Firenze città sicura. A giugno pochissimi casi di Coronavirus

La visione lucida e rassicurante di Carlo Nozzoli, direttore del dipartimento Dea di Careggi

Covid19: nelle ultime settimane, in Toscana, la curva dei contagi si è ridotta e la quota dei casi più gravi sta scendendo. Adesso Firenze è una città sicura? Dovremo aspettarci un effetto rebound in autunno? Ci salverà un vaccino o un farmaco? Ne parliamo con Carlo Nozzoli alla guida del dipartimento Dea dell’Ospedale di Careggi (con le chirurgie d’urgenza, le malattie infettive, i reparti di medicina e il pronto soccorso) e tra i medici in prima linea nei mesi dell’emergenza che forse ci siamo lasciati alle spalle.

L'equipe di Carlo Nozzoli alla guida del dipartimento Dea dell’Ospedale di Careggi

Possiamo parlare di un andamento favorevole nella nostra regione?

Direi proprio di sì, i contagi in questi primi giorni di giugno si contano sulle punte delle dita. A questo si aggiunge il fatto che ormai sono sempre più rari i casi molto gravi. Anzi, a Careggi in questo periodo rileviamo soprattutto casi di pazienti che arrivano da noi per altri motivi, traumi per esempio, e che risultano positivi al Covid19 dopo il tampone ma che non presentano nessun sintomo. 

Significa che il virus sta perdendo potenza?

La vera risposta è che non lo sappiamo. Posso solo dire che quasi tutti i clinici rilevano in questo momento che la malattia si sta manifestando con sintomi meno gravi dei mesi passati e che ci sono molti più asintomatici di prima. 

Dal suo osservatorio privilegiato, qual è il livello di sicurezza a Firenze?

Firenze in questo momento ha pochi casi, si oscilla da uno a quattro casi di positività asintomatici. E mi sembra anche che la città stia rispondendo alle norme vigenti di sicurezza e di distanza sociale con grande responsabilità. Insomma, mi sento di poter dire che Firenze per adesso è una città sicura e con una situazione sotto controllo. 

E’ possibile un ritorno in forma più aggressiva in autunno?

Questa possibilità esiste in quanto il virus tutt’ora circola tra la popolazione ed essendo un virus respiratorio, cioè che contagia l’uomo attraverso le vie respiratorie come quello dell’influenza o altri coronavirus che causano il raffreddore, nei mesi invernali potrebbe trovare condizioni più favorevoli alla sopravvivenza e alla circolazione. Il fatto è che il Covid19 è un virus ancora poco conosciuto, quindi non si può prevedere l’andamento che avrà nei prossimi mesi, ma possiamo essere preparati per affrontalo al meglio nel caso di un effetto rebound.

L’Ospedale di Careggi in questi mesi ha fatto fronte all’emergenza Coronavirus con grande efficacia, quali sono stati i punti di forza?

Il primo punto di forza è stata la direzione generale e sanitaria che è riuscita a riorganizzare in brevissimo tempo l’Ospedale. L’altro punto di forza è stata la risposta dei professionisti a questa riorganizzazione, il grande senso di collaborazione e di unità di intenti. Siamo riusciti a volte anche in 24/48 ore a spostare interi reparti, aprirne altri, trasferire letti di terapia intensiva. Quindi direi due fattori: una direzione che ha operato ad alti livelli e il personale ospedaliero che ha dimostrato grandi competenze mediche, logistiche e umane.

Qual è il ruolo del reparto di Medicina Generale rispetto al Covid19?

A Careggi è stato quello di consentirci di curare un numero più elevato di pazienti. I reparti di malattie infettive hanno molti letti però non avrebbero potuto far fronte da sole al numero di casi affetti da Covid19 che si sono riversati negli ospedali italiani a partire da febbraio. Nel momento clou, qui abbiamo riconvertito e dedicato tre interi reparti di medicina interna a questo problema facendo fronte a tutte le complicazioni della riconversione. La cura di questi pazienti è infatti piuttosto complessa a partire dal fatto che l’operatore deve sopportare un carico assistenziale ben più difficile rispetto alla normalità: agire con tute, maschere e guanti, attenersi a rigidi protocolli igienico-sanitari, svestirsi e disinfettarsi continuamente. 

Quanto al ruolo dell’internista?

E’ il medico che conosce un po’ tutte le malattie e specialmente nei pazienti più anziani il Covid 19  si presenta spesso associato a molte altre patologie tra complicazioni e malattie pregresse che si riacutizzano nel momento in cui si associano a questa infezione polmonare. Dunque, l’internista svolge un ruolo importante per i pazienti più anziani affetti da coronavirus.

Per far fronte a un’eventuale nuova emergenza quale sarà l’assetto di Careggi nei prossimi mesi?

In questa fase di calo stiamo chiudendo tutti i reparti di medicina interna, ne abbiamo già chiusi due, compreso quello che dirigo io, e stiamo chiudendo anche il terzo, e procedendo alla loro riconversione a reparti normali di medicina interna. Attualmente il presidio per eventuali nuovi casi positivi è il reparto di malattie infettive. Ma nel frattempo abbiamo trasformato un intero padiglione dell’ospedale di Careggi – quello delle cliniche chirurgiche che è stato ristrutturato e riallestito – in centro-Covid pronto a entrare in azione nel caso di una nuova grossa ondata di epidemia. 

La plasmaterapia è in uso a Careggi? 

Abbiamo messo a punto il protocollo ma finora non c’è stato bisogno di applicarlo perché i pazienti sono veramente pochi. 

Sono tante le domande che tutti ci siamo fatti in questo periodo per cercare di evitare il contagio da coronavirus. Alcune riguardano abitudini quotidiane come l'igiene in casa e quindi se evitare di entrare nell'abitazione con le scarpe usate per andare a lavoro o a fare la spesa. Lei cosa ne pensa? 

Credo che la cosa fondamentale sia l’igiene delle mani. Pensi che negli ospedali per non trasmettere le infezioni l’unico metodo sicuro indicato dall’Organizzazione Mondiale per la Sanità è il lavaggio delle mani degli operatori. Batteri e virus vengono sostanzialmente veicolati dalle mani. L’igiene degli ambienti e personale è importante e utile a prescindere. Togliersi le scarpe prima di entrare in casa potrebbe essere una buona abitudine, ma non è una misura indicata per evitare la trasmissione del Covid19.

Ci può spiegare in modo semplice cos’è il vaccino a base di Rna?

I virus sono di due tipi: a Dna (che abbiamo anche nelle nostre cellule) e a Rna. Il Covid19 è a Rna, diverso ma sempre basato su analoghi componenti del Dna. Produrre un vaccino comporta individuare una specifica zona del virus in grado di determinare la produzione di difese nell’uomo: gli anticorpi. A Oxford, con il supporto di un’azienda italiana, stanno sperimentando un vaccino di questo tipo. E’ stato preso un virus non aggressivo per l’uomo, perché disattivato, e su questo è stato attaccato un pezzettino di Rna del Covid19. Questo va somministrato all’uomo per indurre una risposta contro quel pezzettino di Rna e se è quelle giusto, nel momento in cui l’uomo viene attaccato dal virus, il virus viene bloccato proprio nel punto in cui si attaccherebbe all’uomo. Si tratta di un tipo di vaccino simile a quello messo a punto contro l’Ebola.   

Solo il vaccino potrà debellare il coronavirus?

Io sono dell’opinione che forse sarà più facile, e soprattutto più veloce, trovare dei farmaci efficaci contro il Covid19. Ce ne diversi in fase di sperimentazione e in modo semplificato funzionano così: il virus quando entra dentro di noi e ci attacca, si lega a una molecola del nostro organismo, se individuiamo un farmaco che blocca questo processo, blocchiamo la malattia. Il vaccino prevede una sperimentazione molto lunga, bisogna esser certi che non crei effetti collaterali, dunque va sperimentato sull’uomo ma con il virus in circolazione, i soggetti sui quali si sperimenta il vaccino devono essere in condizioni di potersi infettare. Il rischio è che se cala la circolazione del virus diminuiscano di conseguenza le possibilità di rilevare le necessarie prove scientifiche dell’efficacia del vaccino. Insomma, è più probabile che venga trovato prima il farmaco anti-Covid che il vaccino.

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