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Gao Bo
14 Giugno 2021

Gao Bo si racconta alla vigilia della sua mostra a Firenze

Gli inizi, i lavori e la concezione totale dell'arte e delle opere dell'artista

I suoi inizi?

Quando avevo 7-8 anni, ho iniziato a fare disegni sul muro e sul pavimento usando bastoncini di gesso e mattoni rossi. A ripensarci oggi mi rendo conto che ho iniziato con l’arte di strada abbastanza presto… Per seguire le mie inclinazioni ho studiato arte e musica, ma in Cina era tutto molto accademico. Ho capito la mia strada solo quando sono arrivato in Francia nel 1990. In Europa ho ricominciato da zero, ma il mio percorso artistico ha trovato la sua identità. 

Gao Bo

Il suo lavoro va verso un’opera d’arte totale, in cui si fondono vari linguaggi: fotografia, pittura, scrittura video performance… Ci racconta la genesi e il perché di questa scelta?

In parte viene dalla musica: amo la lirica, che Richard Wagner ha concepito come opera d’arte totale. Allo stesso tempo più lavoro, più voglio esprimermi, e più mi rendo conto che ogni linguaggio ha il suo limite: posso fotografare una pietra, non otterrò mai il suo peso. Allora prendo una pietra e ci stampo sopra una fotografia: il peso diventa presente. La performance aiuta l’artista a superare la sua stessa arte: egli stesso diventa parte della sua opera d’arte. 

In estate una mostra alla nuova galleria IN’EI di Firenze. Quali opere vedremo?

Volevo presentare tre opere: Mandala Offerings che sono ritratti tibetani in grande scala, Disappearing Figure e l’installazione in collaborazione con l’artista Aron Demetz, sulla nozione di valore.

Gao Bo

Quanto conosce Firenze? Il suo posto preferito in città?

Non conosco ancora bene Firenze, ma non vedo l’ora di trascorrere del tempo in città per la mia mostra. Per ora il mio posto preferito è l’impressionante sala piena di dipinti 

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