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Teresa Favi

4 Maggio 2020

Il Coronavirus a Firenze raccontato dal professor Alessandro Bartoloni, direttore del Reparto Malattie Infettive di Careggi

Il nostro ringraziamento a tutto il personale sanitario di Firenze e della Toscana, attraverso le parole di uno dei protagonisti

Primo giorno della Fase Due.

Alessandro Bartoloni, direttore del Reparto Malattie Infettive e Tropicali dell’ospedale di Careggi

Tra voglia di tornare alla normalità, speranze e timori incontriamo il professore Alessandro Bartoloni, direttore del Reparto Malattie Infettive e Tropicali dell’ospedale di Careggi per parlare di Coronavirus, dell’emergenza che il primo ospedale di Firenze si è trovato ad affrontare nei mesi scorsi, ma anche dei momenti che hanno fatto comparire il sorriso sotto le mascherine e i caschi protettivi di medici e infermieri.

Personale sanitario per le strade di Firenze

Ciò che colpisce di questa chiaccherata letteralmente rubata a un medico che ha vissuto in prima linea in questi ultimi due mesi è la semplicità con cui spiega le dinamiche sconvolgenti che hanno cambiato il corso di un pezzo di storia, ma anche una costante che non possiamo lasciarla passare inosservata: ogni volta che Bartoloni parla di malati e pazienti usa sempre lo stesso termine, persone. Un segno rassicurante - non credete? - in mezzo a un oceano di incertezze.

Ospedale di Careggi

Professore, quale immagine può descrivere il vostro impatto con il Covid19?

Un uragano. E’ stato davvero un uragano e siamo ancora nella fase calda. Quando abbiamo iniziato con il primo paziente, il 25 febbraio - che è rimasto qui, in isolamento, ma coccolato fino al miglioramento e alla dimissione - la situazione era ancora tranquilla.

E poi cos’è successo?

Nei primi giorni di marzo sono iniziati gli ingressi giornalieri. Solo ricoveri nel reparto malattie infettive. All’epoca si discuteva ancora del problema dei presidi, del fatto che i reparti di malattie infettive non erano sufficienti. Ma subito dopo ci siamo trovati di fronte all’emergenza, con i ricoveri in terapia intensiva. Tutto in poche settimane. Da quel momento non c’è più stato un minuto di sospensione. 

Qual è stata la capacità di intervento del reparto Malattie Infettive e degli altri reparti coinvolti di Careggi?

Sono saltati orari, riposi, con il coinvolgimento totale dell’Ospedale, anche dei reparti non propriamente dedicati alla gestione del problema. Careggi ha ridotto le attività chirurgiche e ambulatoriali, e il numero dei pazienti cresceva di ora in ora, con il Pronto Soccorso che doveva gestire con la massima attenzione il numero crescente di accessi. Il Laboratorio di Microbiologia e Virologia, con il suo lavoro indispensabile di analisi dei tamponi nasofaringei, ha subito un tour de force per garantire, ancora oggi, un lavoro ventiquattro ore su ventiquattro. Devo dire che abbiamo messo in campo un lavoro collettivo senza sosta con dinamiche organizzative e logistiche oliate e efficaci attivate in pochissimo tempo per monitorare i posti letto, le forniture di presidi e farmaci che dovevano essere assicurati - perché ci sono stati momenti in cui davvero abbiamo avuto difficoltà a trovarli. Il supporto della Farmacia è stato fondamentale. Anche il personale è stato sottoposto a formazione specifica in tempi rapidi per poter gestire nei propri reparti la nuova emergenza. Il tutto coordinato da una costante: almeno una videoconferenza al giorno per tutti i reparti.

Ora come si sta evolvendo la situazione? 

Cominciamo a respirare un po’. I processi di intervento che all’inizio risentivano dell’emergenza e dell’urgenza adesso sono stati protocollati. Affrontiamo il Covid19 come una normale patologia anche se grave, soprattutto in certi casi.

Qual è ad oggi la terapia di maggior successo messa in campo dalla sua equipe nei pazienti con infezione da coronavirus?

Per ora, a parte alcune importanti misure di supporto, non c’è una terapia di successo scientificamente provata. Siamo in attesa di risultati degli studi condotti in maniera adeguata per poter avere una reale evidenza dell'efficacia dei diversi trattamenti utilizzati. Per far fronte alla fase più acuta siamo ricorsi all’uso di farmaci off label, cioè fuori indicazione, perché sono autorizzati per il trattamento di una serie di patologie autoimmuni, come l’artrite reumatoide e la malaria. E’ il caso dell’idrossiclorochina, un farmaco ritenuto valido già in alcuni lavori prodotti dai colleghi cinesi, e tutti in Italia abbiamo deciso di usarlo. Anche altri farmaci sono stati utilizzati per la loro azione immunomodulante, per contrastare la famosa ‘tempesta citochinica’ provocata dal Coronavirus nei casi più gravi.  Si tratta, in pratica, di una reazione violenta del sistema immunitario che anziché proteggere dal virus attaccano il paziente fino a diventare dannoso. L’uso di questi farmaci in molti casi ha evitato la necessità della terapia intensiva e dell’intubazione. Oltre a questo, anche la gestione di team integrati - dagli infettivologi agli anestesisti - per forme già gravi ma che non necessitano dell’intubazione del paziente, ha aiutato e sta aiutando ad evitare il peggio in molti casi. 

Il personale ospedaliero in questi mesi è stato messo a dura prova, come avete affrontato l’emergenza?

La dura prova c’è stata veramente, ho visto persone lavorare a testa bassa con fatica, anche fisica. Ci sono stati momenti in cui abbiamo lavorato senza sosta. E tutti, dai medici agli infermieri agli operatori socio-sanitari, sono stati un grande esempio di responsabilità. Un gran lavoro è toccato anche al personale delle pulizie, più che mai importanti in questa pandemia.

Ci saranno state anche delle storie belle e dei momenti che vi hanno fatto sorridere. Ce ne può ricordare qualcuno?

Quando le persone migliorano e tornano a casa, quello è il momento più bello che ripaga ogni sforzo e ogni sacrificio. Ma c’è stato anche un altro aspetto molto coinvolgente dal punto di vista emotivo. E’ stato il riconoscimento dei parenti, nei casi purtroppo più tristi, quelli dei decessi, la loro gratitudine per le attenzioni e la sensibilità con cui siamo riusciti ad alleviarli dal problema dell’isolamento totale. Tutti i giorni infatti il nostro personale si è occupato di chiamare i parenti dei pazienti gravi almeno due volte al giorno per aggiornarli e sostenerli in quei momenti così critici, e ancora tutti noi, che scafandrati fino ai denti comprendiamo la difficoltà a interloquire e stabilire relazioni umane con i malati, ci adoperiamo in ogni modo per superare quell’ostacolo, inventando vari modi di farci riconoscere singolarmente. Perché sa, è davvero importante per una persona che si trova nel letto di un ospedale poter capire chi ha di fronte e a chi fare riferimento.

Chiudiamo con un pensiero positivo alle vacanze. Mare, terme, colline e montagna, la toscana offre molti scenari dove trascorrere il tempo libero. Quali tra questi saranno più sicuri nei prossimi mesi?

Ci sono delle indicazioni precise a questo proposito della Regione Toscana, ma in ogni caso secondo me la cosa più importante è mantenere la distanza fisica ed evitare gli assembramenti, oltre al rispetto delle regole che ormai tutti conosciamo. Dunque, anche alla luce di questo, l’estate in arrivo potrebbe essere l’occasione per scoprire o riscoprire località meno battute dal turismo. Ci sarà di che sorprendersi data la quantità e la varietà di posti belli e sperduti che la Toscana può offrire!

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