Isabelle Huppert e il suo speciale legame con la Toscana
La nostra intervista all'attrice icona francese
È una delle grandi dive del nostro tempo e fra le attrici più premiate della storia del cinema, tanto che il New York Times l’ha definita la migliore del Ventunesimo secolo. Isabelle Huppert è apparsa in più di 100 film, dal suo debutto nel 1971. Pochi mesi fa, dopo aver illuminato con la sua eleganza raffinata (ma mai esibita) la Mostra del cinema di Venezia, la Huppert è tornata in Italiaal Romaeuropa festivalcon Lo zoo di vetro, l’intramontabile testo di Tennessee Williams riletto dal regista belga Ivo van Hove. Poi, è stata la volta del Lucca Film Festival dove, mentre ritirava il premio alla carriera, ha parlato del suo appassionato rapporto con l’Italia, anticipando la nuova fatica, un horror diretto da Dario Argento. Sul viso senza trucco (tranne il rossetto) la luce calda di una tiepida giornata lucchese d’autunno riverbera sulla sua pelle nivea, come se ne venisse attirata per incanto.
Lei è un’attrice molto amata in Italia, qual è il suo rapporto con l’Italia e con la Toscana?
La Toscana è un posto bellissimo e Lucca è una città meravigliosa. Sono stata qui tanti anni fa per girare, appunto tra Pisa e Lucca, Le affinità elettive dei fratelli Taviani, ma ho riconosciuto subito le mura di Lucca. L’Italia è la bellezzae in Toscana trovo che ci sia un’alta concentrazione di tutta questa bellezza.
Non ha mai nascosto la fascinazione per il cinema italiano che, dopo i Taviani, Bolognini e Bellocchio, nel 2022 l’ha portata a collaborare con Michele Placido ne L’ombra di Caravaggio.
Avevo già collaborato col Placido attore in Storie di donne, diretto da Benoit Jacquot, nel 1981, ma stavolta è stato diverso. Dedicare un film a Caravaggio è un’ottima idea, è un personaggio così controverso, un artista, ma anche un criminale.
In questo film ha avuto modo di recitare insieme a sua figlia, Lolita. Che esperienza è stata?
Ha una personalità spiccata, è brava. Sarà perché è mia figlia (sorride). Lavorare insieme non poteva che essere emozionante, anche se condividere il grande schermo è diverso rispetto a quello che condividiamo nella vita reale. Non ci siamo mai incrociate nelle scene ma è stata un’esperienza potente alla fine, perché ci piace osservarci a vicenda.
Rivede in lei un po’ il suo modo di fare cinema?
Lei ha la sua personalità e qualcosa di più che purtroppo non ho io: parla benissimo l’italiano, lo studia da quando è bambina grazie ai tanti anni di studio fatti qui.
Dopo Placido, l’Italia è entrata ancora nella sua vita, per girare il nuovo horror di Dario Argento?
Qualche mese fa Parigi ha dedicato a Dario Argento un’imponente retrospettiva. è davvero un grande regista, così strano e originale. Sono molto felice di fare un film con lui. Per il momento non posso dire niente, tranne che sarà un progetto di cinema italiano di altissimo profilo.
Altri suoi prossimi film?
Dans le viseur di André Téchiné, ancora in fase di montaggio. Un film molto bello nel quale interpreto la parte di una poliziotta.
Lavora ininterrottamente, passa da un genere all’altro, si divide fra teatro e cinema. Qual è la qualità che le consente di essere così versatile, eppure sempre eccellente in ogni cosa che fa?
Sì, mi piacere passare dal cinema al teatro, sono due mondi veramente molto diversi. Sul palcoscenico riesco a fare esperienze con artisti di grande portata. E dopo aver portato in scena Lo zoo di vetro a Roma, sto lavorando a un altro progetto teatrale con Romeo Castellucci, Berenice da Racine. Mi considero molto fortunata per questo.
Cosa ama del teatro?
La possibilità di esplorare un punto di vista diverso dal cinema. Mi piace molto anche il rapporto con il pubblico; quello con il pubblico italiano è speciale. Il pubblico di Roma durante Lo zoo di vetro è stato meraviglioso. I francesi sono più freddi.
Ha qualche rito scaramantico prima di salire sul palcoscenico?
Ma no, non sono superstiziosa. Non ne ho il tempo.
Nel 2019 ha recitato al Teatro della Pergola di Firenze nei panni di Maria Stuarda in Mary said what she said diretta da Bob Wilson siglando con quella indimenticabile performance il primo passo con cui il più antico teatro fiorentino si è aperto all’internazionalità. Che cosa le è piaciuto di Firenze in quell’occasione?
La città è una meraviglia, e il Teatro della Pergola le rende onore sul fronte della cultura.