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Oliviero Toscani

text Matteo Parigi Bini photo Dario Garofalo

28 Marzo 2022

La nostra intervista a Oliviero Toscani

80 anni vissuti fuori dal coro: faccia a faccia con il grande fotografo

Dal suo studio, che ha costruito nel punto più alto della tenuta, circondato dalle vigne, si domina il paesaggio: davanti, oltre i cipressi, l’immensità del mare dove si scorgono la Corsica, Capraia e la Gorgona; più in basso a sinistra, la cantina, alcuni casali e la sua casa; a destra su una collina, il borgo di Casale Marittimo.

“Nel 1961 ero al primo anno alla scuola d’arte di Zurigo – ci racconta Oliviero Toscani - e c’era un ragazzo che si chiamava Antonio Tabet che mi invitò in vacanza a casa sua, a Bolgheri. Andavo in giro tra le valli e dipingevo: gli ulivi, il paesaggio. Gli chiesi se sarei potuto tornare, perché non mi ero mai sentito così attaccato a un luogo. Anche se Milano è la mia città, non mi ci sono mai sentito legato. Quando, alla fine degli anni ’60 io e la mia famiglia andavamo a Panarea, mia moglie mi chiese di comprare una casa lì, le piaceva. Ma dopo averci riflettuto, decisi che se avessi dovuto comprare una casa, sarebbe stata nel posto dove andavo a dipingere da ragazzo. Il 10 settembre 1970 le ho fatto vedere questo luogo per la prima volta.

Negli anni ’80, ancora non esistevano i telefonini, quindi per lavorare con il resto del mondo andavo a Casale dal tabaccaio dove c’era una cabina telefonica e mi mettevo lì a fare tutte le telefonate con i vari direttore dei giornali di moda di tutto il mondo, per i primi anni ho lavorato così. Da allora io abito qui. Ho la residenza dal ’72 e il mio, è stato il primo matrimonio laico celebrato nel comune di questo paesino!”

Oliviero Toscani

Oliviero è alla sua scrivania, dove tra i tanti libri sparsi qua e là, si intravede anche l’inconfondibile copertina della sua autobiografia Ne ho fatte di tutti i colori uscita a febbraio per La nave di Teseo, ma sta già sta lavorando al prossimo libro, Die Deutschen des einundzwanzigsten jahrhunderts (Il volto dei nuovi tedeschi). Si alza e ci accoglie con un sorriso pieno e gratificante: ha compiuto da poco 80 anni, eppure quel lampo di luce negli occhi vivaci e visionari è quello di un ragazzo.

Quando avevi trent’anni come ti immaginavi a 80? 

A 20 mi dicevo di non fidarmi di nessuno che avesse più di 30 anni, quelli di 40 li consideravo già vecchi. Pensa che ho l’età di Mick Jagger e Muhammad Ali, a questa nostra generazione nessuno ha mai detto come arrivare a 80 anni. Non so se sia un bene o un male, ma se avessi saputo di vivere così a lungo forse sarei stato più quieto. Mi accorgo di avere una certa età perché il mio corpo, questo vecchio rottame, non è più quello di una volta. 

Lo studio di Oliviero Toscani a Casale Marittimo

Come hai scelto di fare questo mestiere?

Mio padre faceva il reporter al Corriere della Sera. Vivevo nel mondo della comunicazione. Da subito mi sono interessato più alla comunicazione che alla fotografia - i fotografi sono degli esecutori, io non faccio quel mestiere. Quando decisi di intraprendere questo percorso, mio padre mi disse che per prima cosa avrei dovuto studiare sia la tecnica che l’arte. Mi feci cinque anni di scuola d’arte applicata a Zurigo, una delle più prestigiose. La fotografia è nata per far vedere i luoghi e le persone: non avevi mai visto Parigi, ma vedevi foto della città. Il mondo è condizionato dall’immagine, viviamo di immagine. Prima della fotografia c’era ignoranza. Il 90% delle cose che conosciamo, le conosciamo perché abbiamo visto una fotografia: pensa alla guerra, non l’hai mai vista dal vivo ma solo attraverso immagini, eppure ne provi terrore. Poi negli anni ’60 sono nati i giornali di moda, e la fotografia di costume ha richiesto quella creatività non necessaria ai reporter. La mia fotografia è fatta di creatività: inventi, scegli, componi. Prima di tutto sei un autore, poi uno sceneggiatore, un regista, il direttore della fotografia e infine anche cameraman. Io sono il direttore artistico di me stesso. Fotografare è come scrivere: tutti sanno scrivere, ma non tutti sono scrittori o poeti. Lo stesso vale per la fotografia.

Il ritratto è il tuo modo di esprimerti?

Io non fotografo paesaggi, ma fotografo tutto ciò che ha a che fare con la condizione umana. La natura non mi commuove, però quando guardo la Cisa (la strada statale 62 che collega Toscana, Liguria e Emilia Romagna, ndr), mi rendo conto di come sia incredibile l’intervento umano sulla natura. Come fotografo mi sento testimone del mio tempo. Sono un situazionista: mi interessano le situazioni che mi circondano. Negli anni ’60 c’erano i fotoreporter ma io fotografavo la minigonna di Mary Quant, che è stata una rivoluzione in tutto il mondo.

Nella tua vita hai fatto più di 80.000 ritratti, ma quali sono i volti, le persone che ti hanno segnato di più?

I reietti, quelli che non interessano a nessuno. Coloro che si mettono lì e non capiscono come tu possa essere interessato a loro. Le persone più semplici sono disponibili, non certo le top model che non mi hanno mai dato assolutamente niente.

Parliamo delle tue campagne pubblicitarie, qual è stata la più complessa?

Per sapere se fai qualcosa di veramente estremo che avrà un risultato, devi prima esserne imbarazzato, perché vuol dire che vai aldilà perfino della tua morale. Solamente allora, diventi interessante. Soprattutto, non devi fare qualcosa che hai già fatto, ma introdurre degli elementi che in quel contesto lì non erano neanche mai stati pensati. Inoltre, non devi farti influenzare da quelli che ti fanno le censure morali, né dalle reazioni di perbenismo. Se tornassi indietro starei ancora più attento a non ascoltare tutti quelli che ti dicono che è troppo, che non si può, che vogliono rimettere le cose sui binari del politicamente corretto.

La Toscana è casa tua, quando ti sei innamorato di questo luogo?

Nel 1955, con mio padre e mia madre mentre andavamo in macchina in Sicilia da Milano, ci fermammo davanti al viale di Bolgheri. L’unica poesia che avevo studiato a scuola fino a quel momento era Davanti a San Guido. Lì, per la prima volta fui in grado di connettere ciò che avevo studiato con la realtà. Fu così che mi rimase in mente questo luogo dove poi ho deciso di mettere le mie radici.

Lo studio di Oliviero Toscani a Casale Marittimo

Come nasce la tua passione per i cavalli?

C’era un cavallo, un puledro maremmano che stava andando al macello e mia figlia mi convinse a comprarlo per non mandarcelo. Cominciai a guardarlo e collegai il cavallo con la mia passione di quando ero ragazzino, ovvero i cowboy e i pellerossa. In quegli anni lavoravo in California, mi dissero che c’era uno show di cavalli al Cow Palace e rimasi estasiato dalla loro educazione. Iniziai a comprare cavalli, molti dei quali sono diventati campioni nazionali degli Stati Uniti. Quando ho compiuto 40 anni mi sono regalato un viaggio da New York a Milano con i primi due cavalli importati da là. Siamo stati i primi ad avere i cavalli americani e adesso ne abbiamo 40 in addestramento che sono i migliori cavalli d’Europa. Gennaro Lendi si allena qui ed è campione del mondo, il primo italiano a entrare nei million dollar rider.

Oliviero Toscani

Oggi hai una tenuta dove produci degli ottimi vini…

Fino agli anni ’80 qui il vino non era una priorità. A San Francisco vedevo crescere delle vigne stupende e mi chiedevo perché non lo facessero anche da queste parti. Un giorno arrivò qui - se ben ricordo - il signor Masson, un grande produttore di vino di Bordeaux interessato all’eccellenza dei cavalli da corsa che venivano allevati nella zona. Masson regalò mezzo ettaro di barbatelle di Cabernet Sauvignon a Mario Incisa della Rocchetta che lo piantò a Sassicaia nella sua tenuta che confina con il viale di San Guido. All’inizio lo regalava agli amici, fino a che un giorno fu portato a un concorso e fu riconosciuto. Ma è stato Cavallari a inventare Bolgheri. Pier Mario Meletti Cavallari venne qui con Veronelli per caso e comprò Grattamacco.

Non sappiamo se quella leggendaria rivoluzione enoica di Bolgheri sia nata davvero da un dono o da dalla ostinata ricerca del marchese Incisa della Rocchetta (come lui stesso scrive nella famosa lettera a Veronelli), ma saremmo rimasti tutto il giorno a sentire le storie di Oliviero sulla Toscana che non smentisce neanche in questo caso il suo essere sempre fuori dal coro.




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