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Jenny Saville

text Francesca Lombardi
photo Dario Garofalo

1 Ottobre 2021

La nostra intervista esclusiva a Jenny Saville

La grande artista inglese ci racconta questi due anni di lavoro per la straordinaria mostra di Firenze

Abbiamo incontrato Jenny Saville in piazza Santa Maria Novella, a pochi giorni dalla inaugurazione della mostra che Firenze le dedica. Ci incontriamo vicino al Museo Novecento che ospita un nucleo importante delle sue opere, tra le quali lo splendido ritratto monumentale Rosetta II, esposto sopra l’altare all’interno della ex chiesa dello Spedale e visibile dall’esterno grazie a una vetrina affacciata sulla piazza. Un confronto fortemente voluto e ricercato dal direttore del museo e curatore della mostra Sergio Risaliti con il Crocifisso ligneo di Giotto sospeso al centro della navata di Santa Maria Novella, ben visibile fin dall’esterno del sagrato. 

Sergio Risaliti

La città si è aperta all’artista – come lei stessa ci ha raccontato – e le sue opere si confrontano con i grandi capolavori di Michelangelo custoditi a Firenze, in un itinerario che tocca il Museo dell’Opera del Duomo, il Salone dei Cinquecento, Casa Buonarroti e non ultimo il Museo degli Innocenti. Lei stessa ci racconta questi due anni di lavoro per la mostra.    

Ritratto di Rosetta II, posto sopra l'altare, all'interno dell'ex chiesa dello Spedale

Come è nata l’idea della mostra?

E’ iniziato tutto a Venezia. Sergio mi ha chiesto se mi sarebbe piaciuto venire a Firenze. Adoro Firenze, ho accettato. All’inizio l’idea era di fare una mostra al Museo Novecento.  Ma andare a Casa Buonarroti e guardare i disegni di Michelangelo è stata un’esperienza magica: vederli da vicino e parlare con il direttore Cristina Acidini mi ha fatto amare questo luogo speciale. Mi hanno proposto di esporre alcuni miei disegni, accanto ai disegni di Michelangelo. Da quel momento sono successe sempre più cose: mese dopo mese si aggiungeva un museo e la possibilità di mostrare un mio lavoro accanto a un capolavoro di Michelangelo. Il progetto ha preso forma. Il momento più eccitante è stato quando si è aperta la possibilità   di fare un lavoro in dialogo con la Pietà Bandini.  Per due anni ho lavorato su un pezzo da mettere accanto alla Pietà del Museo dell’Opera del Duomo.  E’ stata una sfida: Michelangelo mi ha intimidito, mi ha infiammato… ho imparato molto. Si tratta davvero del progetto della vita come artista.  

Una sala della mostra al Museo Novecento

Il suo lavoro è stato definito umanesimo contemporaneo, perché mette al centro il presente con un linguaggio universale. Si ritrova in questa definizione?

Non ho mai sentito usare questo termine per il mio lavoro, ma è una definizione interessante. Io dipingo il corpo, il corpo contemporaneo in relazione con tutti i corpi che sono esistiti prima. Non amo molto le definizioni: è la ragione per cui faccio arte, sono ciò che è nei miei dipinti. L’arte è il mio linguaggio, contempla la possibilità della contraddizione, oltre o tra la parola parlata. 

Grande attenzione al volto, ma anche al corpo in tutto il suo realismo: carni nude che colpiscono come un pugno nello stomaco. Cosa la interessa nella fisicità umana che sfugge dai canoni estetici più comuni?

Lavoro su ciò che mi affascina: se mi affascina visivamente, deve custodire in qualche modo la verità. Questo comporta spesso lo “svelamento”. Non va molto di moda parlare di verità, ma c’è qualcosa nel mio lavoro che ricerca una sorta di verità universale. Ecco perché penso che la relazione con Michelangelo sia forte, è un concetto che appartiene anche a lui. Se vuoi essere bravo in qualcosa, devi lavorarci tutta la vita. Quindi per me è sufficiente il corpo umano…più che sufficiente.

Rosetta II, 2005 - 2006

Quando e perché ha scelto di dipingere?

Non ho scelto di diventare artista, lo sono sempre stata. Quando avevo circa otto anni, mia madre ha sgomberato un ripostiglio: quello è stato il mio primo studio.

Questa attenzione alle donne si può definire femminismo?

Non mi piace il pregiudizio contro nessuno. Più sono le nostre voci, più ricca e interessante sarà la nostra cultura.

Chi sono i suoi maestri tra i grandi nomi del contemporaneo?

Nel corso della mia vita ho sempre avuto grandi maestri. Cy Twombly ha avuto una grande influenza all’inizio della mia carriera. Quando lavoravo in Sicilia e lui era a Gaeta. Mi ha dato una sorta di legittimità, è stato come una guida per me sul fatto di non lavorare in un centro d’arte come New York. La priorità era quella di potermi concentrare sul mio lavoro. Anche il lavoro di Cindy Sherman è stato molto influente, e poi Richter, Richard Serra…Ma anche storici dell’arte come David Sylvester che ha scritto su Bacon e Giacometti. Lo studioso di Picasso, John Richardson. Quindi non solo artisti e non solo contemporanei: De Kooning, Picasso, Bacon, e i vecchi maestri - Velasquez, Michelangelo, Caravaggio, Degas - sono sempre intorno a me. 

Chasah, 2020

Ci racconta il suo Michelangelo?

Pensavo fosse un Genio prima di fare questo progetto. Ora la mia ammirazione per lui è molto più profonda. Prendiamo la scultura della Pietà: ogni angolo, ogni piega della stoffa, ogni giro di polso nasce per creare emozione, ma senza essere sentimentale. E’ una strada molto difficile da percorrere, raccontare l’umanità senza che sia una sorta di cliché. Questo è ciò che ho imparato dal suo lavoro.

Ha scelto capolavori e luoghi meno conosciuti del genio fiorentino. Un dialogo intimo quindi?

Le riproduzioni dei suoi Prigioni incompiuti sono accanto al mio letto, mi sveglio con libri su Michelangelo intorno, parlo solo di lui. Negli ultimi due anni ho vissuto con Michelangelo. Prima Michelangelo mi guardava alle spalle, ora è sotto la mia pelle.

Study for the Eyes of Argus, 2021

Cosa ama di Firenze?

Avete alcune delle più grandi opere d’arte che siano mai state fatte. E qui tutti amano l’arte. C’è stato un atteggiamento molto aperto da parte dei direttori dei musei per questo mio progetto. Come artista è il sogno più grande. 

 L’opera di Michelangelo che l’ha commossa di più?

Il non-finito dei Prigioni, dove si svela la metamorfosi dal marmo al corpo: l’ho usato come modello per fare quadri tra l’astrazione e la figurazione. Mi piacciono tutte le Pietà, quella di Roma, di Firenze e di Milano. Poi i disegni della crocifissione dove le sue linee mostrano una vibrazione tra la vita e la morte. Non c’è opera di Michelangelo che non mi piaccia, il suo lavoro mi ha influenzato in modo diverso nei vari momenti della mia vita.

Places

In questo articolo abbiamo parlato di Museo del Novecento

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