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text Francesco Brunacci

12 Giugno 2017

Il nuovo tempo della moda

Una grande mostra curata da Olivier Saillard inaugura il nuovo corso del Museo della Moda e del Costume a Palazzo Pitti

Cambio di rotta? No, piuttosto l’inaugurazione di un nuovo corso, perché la Galleria del Costume di Palazzo Pitti da questo mese diventa Museo della Moda e del Costume, il solo in Italia.

Il numero fortunato è il 13. Dal 13 giugno infatti, al Museo della Moda e del Costume debutta un’esposizione che sia nell’intento che nel carisma del curatore, afferma già completamente l’intenzione di rimanere indimenticabile.

A dispetto del titolo Museo Effimero della Moda, questa mostra che chiuderà il 22 ottobre e che è inserita nella 92esima edizione di Pitti Immagine Uomo, si aggancia invece alla nostra quotidianità, dunque ne contiene non la ripetitività, ma l’incanto.
“Volevamo riappropriarci della libertà di riscoprire l’emozione di rianimare un abito semplicemente riavvicinandoci a lui, facendo confluire su di lui non un’idea preconcetta di curatela, ma la gioia di farlo rivivere nel tempo di durata della mostra, nel fluire del tempo che lo vedrà confrontarsi con le persone che, spero, affolleranno questo nostro museo nel museo”

Esordisce così Olivier Saillard - uno degli storici della moda più attenti e concreti nel panorama internazionale, oltre che direttore del Museo della Moda della città di Parigi - in questa occasione curatore dell’esposizione.

Le osserva ancora una volta, non sarà l’ultima, queste 200 tracce di storia - tra abiti e accessori distribuiti in 18 sale - a poche ore dall’apertura, senza nessun’ombra di nervosismo.

“Mai come questa volta - prosegue con il suo suadente sorriso placido - il termine ‘effimero’ è appropriato. C’è un lato talmente fugace e allo stesso tempo poetico nel girare le pagine del quotidiano che si presenta a noi sotto forma di vestito. Non ci si abitua mai alla bellezza. Mi piace procedere ancora e ancora in mezzo a queste espressioni di vita che ancora una volta si poggia sulla nostra e poi prenderà un’altra strada da ottobre in poi. Tra abiti di Worth o di Roberto Capucci, di Emilio Federico Schubert, di Elsa Schiaparelli, di Jole Veneziani fino alle nuovissime collezioni di brand ormai conosciutissimi quali Prada, Lanvin o Maison Margiela, se ne dovessi scegliere uno e soltanto uno so già quale sarebbe. Fa una piccola pausa e si avvicina a un vestito di Madeleine Vionnet, poi prosegue. “È dell’inverno 1933, apparteneva all’attrice francese Marcelle Chantal, non potrà mai più essere esposto, né indossato: è troppo fragile... Adoro anche quei guanti di carta che sono allo stesso tempo una tappa di ricerca e l’emblema stesso del ricordo. Se non è effimero questo...”

Proseguiamo. Sala per sala, non c’è in Olivier Saillard nessuna tensione, piuttosto un’emozione contenuta, una ineffabilità figlia di molti anni di esperienza e di molte scelte felicissime, come la mostra su Cristobal Balenciaga L’Oeuvre au Noir al Museo Bourdelle di Parigi o relazioni personali e professionali che lo hanno ad esempio portato a volere fortemente performance con mostri sacri del cinema quali Tilda Swinton o Charlotte Rampling.

Abito dopo abito, accessorio dopo accessorio, le luci non solo illuminano colori, creazioni passate alla storia, ma come piace rimarcare a Saillard, “attimi che hanno fatto non solo quelle case di moda, ma quelle giornate, quel momento in cui sono stati prima concepiti, poi confezionati, poi indossati”.

Nelle 18 sale del Museo della Moda e del Costume, rivivono i drappeggi di Mariano Fortuny, lo stile milanese della celeberrima Biki, ma anche meraviglie forse dimenticate come le creazioni della sartoria Rosa Genoni o della Maison romana d’alta moda Carosa.

“È un museo questo che ha una personalità gigantesca. Vorrei che per questa esposizione i visitatori fossero non solo numerosi, ma attenti. Che si portassero dentro le tracce di questo mondo che, è vero, è effimero, fugace, che passa e che va, ma che lascia dentro indelebili tracce di sé”.

E va via anche lui, ammantato come sempre di un alone di grazia che - quello anche - sembra sparire, mentre invece lascia un segno addosso.  

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