La Loggia della bellezza
Dai Priori ai Lanzichenecchi a un museo open air Lo strano destino della Loggia della Signoria
Strani scherzi gioca il destino. Chi l’avrebbe mai detto che il giovane Cosimo I affidasse la propria salvaguardia nelle mani di quei Lanzichenecchi contro cui aveva combattuto, rimanendone ferito a morte, il padre Giovanni dalle Bande Nere? Già perché quelle stesse compagini di mercenari tedeschi, che avevano saccheggiato Roma nel 1527 e cinto d’assedio Firenze due anni dopo, saranno anche la guardia armata di alabarde, spade, picche e colubrine, al servizio di Cosimo I.
E se la leggenda li vuole malamente accampati sotto le logge di piazza della Signoria, in realtà gli antesignani della moderna fanteria, erano piuttosto organizzati. E la Loggia dei Priori che con loro sarà chiamata dei Lanzi, ne divenne il presidio.
Un’eredità che Cosimo I riceve da Alessandro, primo duca di Firenze, ucciso dal cugino Lorenzino de’ Medici. E che mantiene consapevole che i nemici spesso son più dentro, che fuori le mura. E se con Alessandro i Lanzi erano considerati sporchi, brutti e cattivi, con Cosimo diventano gentili e di bell’aspetto, come si vede nei tanti disegni e dipinti esposti ora agli Uffizi nella mostra I cento Lanzi del Principe (fino al 29 settembre), per i 500 anni dalla nascita del primo granduca. In realtà, una volta che Cosimo arriva a riunire quasi tutta la Toscana e avvia una stagione di pace, anche i Lanzi, fedele guardia del corpo, non avranno più bisogno di presidiare così apertamente la città. Praticamente è quando Benvenuto Cellini farà per Cosimo il Perseo, dai tratti somatici del duca, che tiene alta la testa mozzata di Medusa trasformandola in un simbolo apotropaico: avrebbe tenuto lontani i nemici. Siamo intorno nella seconda metà del ‘500 e la Loggia inizia così la sua metamorfosi trasformandosi in ciò che è oggi: il primo museo di statue (tutte originali) e, nel suo genere anche unico al mondo, all’aperto e visitabile 24 ore al giorno. E al tempo stesso anche luogo d’incontro, vista la quantità di gente che si avvicenda sulle panche di via che lo circondano all’esterno e lo completano all’interno.
Con i granduchi Francesco e Ferdinando arriveranno il Ratto delle Sabine di Giambologna e il gruppo di epoca romana di Patroclo e Menelao che papa Pio V aveva donato a Cosimo I; mentre l’Ercole e il centauro Nesso sempre di Giambologna vi sarà collocato solo nel 1812, qualche decina di anni dopo che erano state portate qui, da Villa Medici a Roma, le statue classiche delle Sabine e della principessa germanica fatta schiava. Ultima opera il Ratto di Polissena, di Pio Fedi. È anche l’unica scultura moderna (fine ‘800), ma fu considerata un capolavoro e meritò la loggia.
Un museo dunque, ma anche un proscenio le cui statue come attori dialogano con le altre della piazza. E dire invece che doveva essere completamente vuota, come priva di segreti interessi doveva essere la Repubblica fiorentina. La struttura nasce infatti come luogo di adunanze pubbliche. È il governo dei Priori che ne decide la costruzione nella seconda metà del ‘300, comprando alcune case dai Bandini e dai Baroncelli. E come la sua storia, così articolata, anche la sua architettura appare del tutto insolita. Infatti benché gotica nelle volte ogivali è anche rinascimentale nelle arcate a tutto tondo. Un’opera imponente a firma di Simone Talenti e Benci di Cione capimastri dell’Opera del Duomo. E come era d’uso al tempo la facciata verrà decorata con formelle raffiguranti le quattro Virtù Cardinali (a nord) e Teologali (a est). I leoni all’ingresso e i leoncini alla base dei pilastri erano invece un simbolo fiorentino di forza e libertà.E se la sua funzione cambia nei secoli, altrettanto sarà per il nome: da Loggia dei Priori o della Signoria, diventa dell’Orcagna (benché l’apporto dell’artista fosse stato minimo) e infine, in modo spregiativo, dei Lanzi. Qui infatti nel 1532 la Repubblica dovette chinare la testa al duca Alessandro e subire la presenza dei Lanzi, peraltro protestanti. Venne poi usata come laboratorio di scultura finché Ferdinando I, non trasformò la terrazza, che le fa da tetto, in un giardino pensile usato per assistere alle rappresentazioni di piazza.