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Francesca Lombardi ph. Pasquale Paradiso

25 Settembre 2017

La scoperta

Siamo al Museo di San Marco, testimonianza di un Rinascimento netto e luminoso

Varcata la porta della biglietteria, si entra in un’altra dimensione dove spazio e tempo hanno di nuovo un valore e concorrono insieme a creare un’idea di bellezza a cui necessariamente tendere.

Siamo al Museo di San Marco, testimonianza palpabile – anche se poco nota - di un Rinascimento netto e luminoso, un vero miracolo della nostra terra che ricordiamo di frequente ma di cui perdiamo i contorni e interezza. Ci accompagna nella nostra visita Marilena Tamassia, direttore del Museo da 2 anni: la dolcezza del suo sguardo- che ha uno stretto legame con l’orgoglio di appartenere a quei luoghi - e l’emozione che trasmette di fronte a ogni capolavoro è la cosa più difficile da raccontare a parole, ma dà la misura reale del prestigio che l’edificio riserva.

Ci accoglie nel Chiostro di Sant’Antonino, equilibrio di verde e pietra serena che invita al silenzio. Intorno si erge il convento, che comprende anche un secondo Chiostro, di San Domenico, che appartiene alla parte del convento ancora oggi abitata dai frati domenicani e non accessibile al pubblico. Il complesso originario venne eretto per i silvestrini intorno al 1300. Nel 1437 Cosimo finanziò la ristrutturazione del convento passato ai domenicani e commissionò a Michelozzo, architetto di fiducia di casa Medici e più abile di Brunelleschi in quelle che erano vere e proprie ristrutturazioni, la ricostruzione del convento secondo i più moderni canoni rinascimentali.

La consacrazione definitiva avvenne durante la notte dell’Epifania del 1443: Cosimo investì una notevole quantità di denaro nella ricostruzione del convento, sborsando più di 40 mila fiorini; Michelozzo lo ricompensò creando quello che ancora oggi costituisce un vero e proprio capolavoro architettonico, oltre alle opere d’arte che custodisce. Con il nostro mentore scegliamo di percorrere stanze e celle scegliendo un filo cronologico. Quello che la direttrice ci tiene a sottolineare è l’assoluta autenticità del Museo: la maggior parte delle opere che si vedono qui sono state create per gli ambienti dove sono custodite ancora oggi.

E’ questa appartenenza forse a contribuire al fascino di San Marco: una visita che è quasi un viaggio nel tempo, e che inizia – ça va san dire – con il Beato Angelico. L’illustre domenicano è presente al piano terra in ben tre luoghi, oltre a essere il favoloso protagonista del piano superiore: suo l’affresco opposto all’entrata che testimonia la devozione di San Domenico per il Cristo e si staglia su un bellissimo blu lapislazzuli; dedicato al frate pittore anche l’Ospizio, che raccoglie diverse pale e predelle del Beato Angelico, tutte bellissime.

Merita una sosta particolare la Pala dei Linaioli, commissionata dalla corporazione fiorentina per la loro sede, che celebra l’arte della lana e dei tessuti attraverso panneggi, sia per Maria, che per Gesù e i Santi, di una perfezione quasi tridimensionale. Nella Sala capitolare, una Crocifissione che occupa la parete centrale, vede a destra i Santi di tutti gli Ordini e a sinistra quelli della famiglia Medici. Qui si assaggia l’abilità del Beato Angelico con il colore: palette potenti e allo stesso tempo impalpabili che sembrano essere ispirate da un equilibrio soprannaturale.

Di fronte al dipinto la Piagnona, forse la campana più punita della storia, colpevole di aver chiamato a raduno il popolo per salvare il Savonarola dalla prigione e dalla morte. Saliamo al primo piano, capolavoro monografico del Beato. Ci accoglie in cima alle scale che danno sul terzo corridoio un’Annunciazione pulita e netta come una freccia: volti sottili, vesti meravigliose, colori che formano scale dalla matrice così perfetta da sembrare quasi divine. Proseguendo lungo il terzo corridoio si incontra la Biblioteca, e ancora una volta si ammira l’abilità di Michelozzo nel ripensare gli spazi con una semplicità assoluta, ma non banale. Più avanti le stanze riservate a Cosimo che, comprensibilmente, qui spesso si ritirava.

A sinistra dell’Annunciazione il corridoio riservato ai frati maggiori: 21 piccole celle che rivelano, porticina dopo porticina, ognuna un meraviglioso affresco. Inutile raccontare la bellezza di un Cristo in un favoloso giardino; la modernità di una Natività che ruota intorno a una piccola capanna; o gli straordinari accostamenti di colore di una Presentazione al Tempio raccolta in una piccola nicchia.

Non serve raccontare…in un pomeriggio d’autunno entrate e perdetevi per un paio d’ore. Il Corridoio dei Novizi fa da preludio alle stanze del Savonarola – che custodiscono una bella veduta di piazza della Signoria nel ‘500 – e rivelano altri dipinti del Beato Angelico. Qui si annoverano attraverso le immagini i 9 modi di preghiera domenicani. Si torna al piano inferiore per scoprire le stanze dedicate a Frà Bartolomeo, devoto del Savonarola e secondo frate pittore del Museo, a cui si deve un bellissimo ritratto del più grande eretico della storia qui conservato.

Oggetto di una recente rivalutazione – come la monaca pittrice Plautilla Nelli di cui è conservato un grande dipinto nel refettorio grande di San Marco - Fra’ Bartolomeo colpisce per la dolcezza dei suoi volti e gli studi di questi ultimi anni sicuramente ci riveleranno notevoli sorprese. Si chiude la visita con la bellezza, come si era cominciato:

L’Ultima cena del Ghirlandaio, nel Refettorio piccolo, è un compendio fantastico di sentimenti umani. Ogni volto esprime uno stato d’animo, ci parla con una chiarezza limpida come il tratto dell’autore. La nostra parentesi di pace e equilibrio volge al termine e mentre ci avviamo nel corridoio che porta all’uscita e conserva i cimeli dei Palazzi distrutti per Firenze Capitale, ringraziamo Marilena Tamassia per aver colto così profondamente l’anima di queste stanze e avercela restituita nella sua grandezza. 

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