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1 Settembre 2017

Ci vuole stile

Con Francesco Bianconi, leader dei Baustelle, a parlare di amore, musica e paternità

Premetto che ho un debole. Un debole per chi trasferisce pezzi di vita in parole suonate, un debole per chi viene dalla provincia e poi migra verso grandi microcosmi portando con sé la propria sensibilità, un debole per chi possiede quella sorta aurea poetica che risplende, anche da lontano. Per chi conosce i Baustelle queste parole forse possono rappresentare validi indizi, per gli altri, qualche piccola nota in più: Francesco Bianconi, Rachele Bastreghi e Claudio Brasini, sono loro i Baustelle.

Già dal primo lavoro Sussidiario illustrato della giovinezza del 2000, la band si rende testimonianza di qualcosa di nuovo, un rock italiano che si eleva in poesia, dove la concezione di canzone d’autore compie una sorta di simbolica autoanalisi e si chiede: “perché non posso convivere con il pop?”.

17 anni e molti dischi dopo, i Baustelle sono tornati con L’amore e la violenza. Incontro Francesco Bianconi, frontman - ma anche autore e scrittore - durante una calda mattina di luglio. L’occasione è quella che precede l’attesissimo live del 3 settembre in piazza Duomo a Prato, all’interno del ricco cartellone del festival del Settembre|Prato è spettacolo.

Montepulciano e la Toscana. In che modo fanno parte della tua vita e della tua musica?
Rappresentano essenzialmente il mio motore iniziale. In questa terra sono nate le mie prime canzoni e da questa stessa terra ho desiderato fuggire. Vivere a Montepulciano mi ha reso “vaccinato” alla vita di città, dove tutto accade e gli stimoli sono molteplici. Mi reputo una sorta di contadino forgiato, immune molto spesso anche alle facili “ubriacature” cittadine.

Letteratura, poesia, moda e musica. 4 mondi che nei Baustelle s’incontrano, fino a diventare specchio di un fenomeno generazionale. Se dovessi spiegarci il tuo personalissimo stile come lo definiresti?
Non ne ho idea, non riesco ad autodefinirmi. Una cosa però credo che sia importante: lo stile per me è personalità, originalità e carattere, elementi che reputo essenziali. Cito Paolo Conte in un’intervista: “l’unica cosa che conta è lo stile”. In un’epoca in cui si è già fatto e detto tutto, è questo a fare la differenza.

Ti abbiamo visto sfilare alla Galleria Palatina per la nuova Gucci Cruise 2018. Raccontaci di questo tuo legame con il brand.

Ho scoperto che Alessandro Michele (stilista di Gucci, ndr) è un fan di vecchia data dei Baustelle. Da qui è nata una sorta di collaborazione. Vedo in lui un talento assoluto e visionario.
Ha scelto di disegnare i nostri abiti per il tour invernale e quando mi ha proposto di sfilare alla Galleria Palatina ho accettato, senza pensarci troppo.

L’amore e la violenza un disco brutalmente sincero, dove suoni carichi di tensione “suonata” si mischiano a versi tagliati e incollati, quasi dadaisti, insieme a vere dichiarazioni di amore incondizionato. A mio parere, il vostro lavoro più contemporaneo…
È un disco nato semplicemente come reazione ai tempi che stiamo vivendo, con nuove guerre che terrorizzano e impauriscono. Ho pensato all’influenza di questi accadimenti sull’intimità dei sentimenti umani. Mi sono ispirato a certe canzoni d’amore scritte in tempi di guerra. E poi si è aggiunto un riferimento musicale ben preciso, quello di un pop suonato con strumenti sognati e arrivati dopo una lunghissima ricerca.

“Non esiste canzone d’autore e canzone senza autore, e ogni altra forma di etichettatura conta assai poco per il sottoscritto”, lo scrivi tu, nella prefazione a Per il verso giusto, nuovo libro di Simone Lenzi. Allora Francesco, quand’è che una canzone compie il miracolo di “spezzarti il cuore”?
Quando il valore poetico del testo è così alto e in sintonia con la melodia musicale da trasformarsi in un formidabile tutt’uno.
Un esempio?
L’ultimo in ordine di tempo, K. dei Cigarettes After Sex
Gli autori-chiave della tua formazione?
I Racconti di Edgar Allan Poe, i Beatles e Giotto.

Come spieghi il mondo a tua figlia?
Semplicemente senza spiegarle troppo e considerandola non tanto come figlia ma come essere vivente, ho in mente Non insegnate ai bambini di Giorgio Gaber.
Hai dei rimpianti?
Sì tantissimi, ma non ci penso. Sono molto bravo a lasciare i miei rimpianti su un livello leggero, microrimpianti che utilizzo anche per scrivere canzoni. 

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