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text Francesca Lombardi
photo Marino Dini

Paolo Bassetti
13 Dicembre 2019

Reciproca cura

Paolo Basetti, curatore del Giardino degli Ananassi del Parco di Boboli

Paolo Bassetti

La sua prima volta qui?

A 19 anni. Avevo aderito a uno di quelli stage di orientamento che si fanno da molto giovani per essere certi di costruire qualcosa per il proprio futuro. Ma non pensavo assolutamente di fare questo lavoro.

E invece?

Abbiamo camminato a lungo prima di entrare nel Giardino Botanico Superiore. O di quello che ne era rimasto: era in condizioni disperate. Avrei voluto mettermi a tagliare l’erba, a togliere i vecchi rami: un bisogno inspiegabile, un innamoramento… 

Come è riuscito a riportare il giardino all’antico splendore?

Ho ripreso in mano i documenti dell’epoca, ricercato le piante una a una. Questo giardino, tutti i giardini, sono una meravigliosa macchina del tempo in cui leggere storia, stratificazioni, costumi.

Il suo legame con il Giardino degli Ananassi (il nome ottocentesco, ndr) va ben oltre il suo lavoro, sbaglio?

Ogni giardino, si prende cura di coloro che ne hanno cura: è un rapporto filosofico. Per questo quando si entra in uno spazio verde piccolo o grande che sia, ci pervade un senso di quiete e serenità… 

Il momento più bello per visitarlo? 

Durante la fioritura delle peonie arbustive a fine aprile: dura solo pochi giorni ma è uno spettacolo unico. 

Un profumo?

Quello delle rose inglesi: il capitolo più moderno del giardino.

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