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Porta del Paradiso Ghiberti

Cristina Acidini

26 Ottobre 2012

Da Firenze al Paradiso

La Porta del Ghiberti torna visibile dopo 27 anni di restauri nell’Opificio delle Pietre Dure

La storia delle Porte del Battistero di Firenze e in particolare della seconda Porta di Lorenzo Ghiberti - la Porta d’Oro, la Porta del Paradiso - è una splendida avventura, un grande progetto di fede che riuscì a coniugare cultura umanistica e sensibilità artistica, ma anche maestria tecnica, capacità organizzativa e gestione della ricchezza mercantile.

A quattro secoli e passa di distanza, un’altra storia - quella del restauro - si è svolta in un arco di tempo paragonabile a quello della creazione: perché se al Ghiberti occorsero per creare la Porta i ventisette annidal 1425 al 1452, per l’intervento conservativo contemporaneo ce ne sono voluti altri ventisette, entro l’arco di tempo dal 1979 al 2012.

Protagonista di questa storia recente, quell’eccellenza fiorentina del restauro che è l’Opificio delle Pietre Dure, un tempo manifattura artistica medicea e lorenese, oggi Istituto del Ministero per i Beni e le Attività Culturali dedito alla conservazione, alla ricerca scientifica e alla formazione dei restauratori. Ho preso parte anch’ io alla storia moderna della Porta, e sono molto lusingata e felice di questo.

Sono stata alla guida dell’Opificio dal 2000 al 2006 e vi sono tornata a periodi, fino a febbraio 2012. Da responsabile della tutela del patrimonio artistico fiorentino, da amante di questa città e dell’arte ho visto con autentica commozione tornare la Porta nei pressi del suo punto di partenza, all’interno cioè del Museo dell’Opera del Duomo. E’ un ritorno sorvegliato, garantito da condizioni espositive controllatissime, da cui ci si aspetta - anche di questo l’Opificio si è fatto garante con le sue insostituibili competenze - che il microclima non rimetta in moto i fattori di degrado che avevano assalito la preziosa combinazione di bronzo e d’oro, e che il restauro ha arrestato. Questa porta, oltre all’indubbio valore estetico, ha un valore speciale perché ci pone di fronte a importanti riflessioni ed è indissolubilmente legata alle vicende che hanno toccato la città.

La sua storia novecentesca, e quella delle sue consorelle a nord e a sud, ci mette in contatto intellettuale e visivo con traumi non rimossi, anzi doverosamente presenti alla memoria collettiva: l’ardita operazione di smontaggio per allontanarla in vista dei bombardamenti nella primavera del 1943 (e gli augusti varchi al Battistero murati, tranne che per porticciuole d’accesso), l’inatteso e violento assalto delle acque oleose dell’Arno nell’alluvione del 1966.

Dal secolo forse più aggressivo in assoluto dei quattro di esistenza della Porta, sono maturati come frutti necessari la conoscenza approfondita delle materie, delle tecniche, del degrado, il progetto di conservazione, la sostituzione, il complesso e impeccabile intervento restaurativo, il ricovero museale. Incardinati nel ’79 i maestosi telai nelle morse appositamente progettate e costruite nel Laboratorio di restauro di Bronzi e Armi antiche dell’Opificio in via degli Alfani 78 (dove i telai stessi hanno rivelato vicende inosservate e piccoli segreti, come le prove dei punzoni del fiorino risalenti al 1448), le formelle cautamente estratte hanno vissuto per anni, con il progressivo restauro di tutte e dieci, un’esistenza autonoma che le ha portate dal Giappone agli Stati Uniti, a suscitare invariabilmente l’ammirazione per l’arte del Rinascimento fiorentino e la stima per il restauro italiano odierno.

Quella Porta uscì dall’officina del Ghiberti in via Bufalini 14, dove una targa di marmo ricorda: “ebbe qui le officine Lorenzo Ghiberti quando formava le porte che al divino buonarroti parvero degne del paradiso” e fu installata in Battistero: da lì (senza altri viaggi, eccezion fatta per il tempo di guerra) ha raggiunto l’Opificio; dal Laboratorio dei Bronzi, il Museo dell’Opera, tutti spostamenti avvenuti in un cerchio ideale il cui raggio non supera i 2-300 metri nel cuore del centro storico fiorentino, e dal quale tuttavia il messaggio della Porta ha, senza retorica, girato il mondo.


 Mancherà certo a tutti, quella Porta, in via degli Alfani. Ma è bello e gratificante saperla salvaguardata nel suo recuperato splendore, e collocata in uno luogo espositivo che le è quanto mai appropriato. Adesso possiamo dedicarci alla piena e completa tutela - attraverso opportuni progetti conservativi - delle Porte rimaste in loco, a partire dalla prima del Ghiberti, a nord. Le morse non rimarranno dunque vuote a lungo, pronte come sono a stringersi con delicata fermezza su altri due telai, per la salvezza delle altre e ancor più antiche formelle ghibertiane. 

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